L’anguria

Io pesante come una fetta d’anguria
grezza e rossa
dolce, acquosa, dissetante.
Sempre gli stessi palazzi grigi,
nel tramonto cangiante, lucido, luminoso.
E le lavagne
come insegne di guerra.
Minime, piccole piante/foresta
che attorniano il castello.
Ormai integrata,
le astronavi partite senza di me.
Sentire per giorni
assurde scemenze
declamate dal palco
con assurde parole.
Compagni sbadigliano,
faccio finta di avere una teoria, sicuramente minoritaria,
mi atteggio a compagno sicuro
come fanno tutti.
Non era questo che mi aspettavo.
Forse diventerò una banana.
Per ora,
sono gialla come un limone

E’ quello che ho provato all’ultimo congresso di Rifondazione
PIPPIBI

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“Aspettando il 25 aprile” di PIPPIBI

Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione di questa mail che ci ha inviato la nostra amica PIPPIBI. Buona lettura!

Ciao raga, non so se questa cosa sia poesia o prosa, francamente non mi importa e spero non importi a voi, è invece il mio modo di ricordare mio padre, il 25 aprile, l’antifascismo in un momento in cui di 25 aprile e del suo significato e di anifascimo ce ne vorrebbero a tonnellate.
Buon 25 aprile anche a voi!

Aspettando il 25 aprile.

Mi tenevi sulle ginocchia. Seduto sullo sgabellino a quattro gambe un po’ storte, che avevi fatto per me, strofinavi il tuo viso, ruvido di barba non fatta, sul mio viso piccolo e rotondo. Come sempre, quando cominciava a fare molto caldo, io ti aspettavo sul portone e tu arrivavi. Arrivavi con la bici gialla e nera e con le pinze al fondo dei pantaloni per impedire che andassero nei raggi. La vecchia borsa a tracolla e un sorriso che sapeva di sudore, di polvere, di ferro e fonderia.

Era tardi per me, le dieci e mezza di sera eppure ti aspettavo perché il mio mondo non era completo se tu non lo colmavi con la tua presenza.

Ti saltavo al collo e ti baciavo con i miei baci umidi e totali incurante, inconsapevole della tua stanchezza. Ti portavo la borsa, tu posavi la bici in cantina e facevamo insieme i quattro piani di scale che ci portavano a casa. Continuavo a parlarti, a raccontarti e tu, solo mio, mi sorridevi anche mentre ti lavavi con l’acqua fredda nel lavandino della cucina.

Come un piccolo cane felice ti prendevo le ciabatte, tu ti sedevi io ti slacciavo le scarpe. Tu le toglievi e infilavi le ciabatte.

L’aria era calda anche di sera tardi ma noi andavamo sul balconcino, quello che guardava le fila diritte di insalata e costine, rose e ravanelli del giardino di Susetto, con la sua casetta di mattoni rossi e la vite che saliva come un operaio affaticato.

Avevamo in mano una tazza con il ghiaccio pestato, un po’ di caffè e lo zucchero e ci affondavamo dentro il cucchiaino portandoci alla bocca quei piccoli grani gelati e golosi. Guardavamo atterrare gli aerei a Caselle, ci passavano proprio sulla testa con le loro lucine rosse e la scia di panna bianca nel cielo blu scuro.

Mi sedevo sulle tue ginocchia e ti dicevo: “racconta”

Imperiosa, esigente e tu mi raccontavi dei tuoi tramonti di fabbrica rosso fuoco, dove le colate dalle siviere avevano la stessa grandezza e richiedevano lo stesso sacrificio di un vulcano domato.

Orgoglioso del tuo lavoro, fatto con la fierezza di un antico alchimista che piega il ferro e la consapevolezza del popolo a cui tu appartenevi, una classe operaia che sapeva chi era e credeva, sperava di essere il futuro di una nazione; quella stessa nazione che avevi contribuito a liberare con la lotta partigiana. Questo era un altro dei tuoi racconti che adoravo e che ti facevo raccontare spesso perché erano una parte di me. Di quando combattevi nelle brigate Garibaldi, sulle montagne del cuneese, con il tuo fazzoletto rosso al collo e lo sten al fianco, le scarpe rotte e spesso lo stomaco vuoto. Così tanto una parte di me, che hai voluto portassi anche il nome di battaglia di una tua compagna di lotta caduta durante un combattimento.

Mi parlavi di come le tue battaglie erano poi continuate all’interno della fabbrica perché tutti avessero un salario dignitoso e dei turni di lavoro non da bestia, incurante che mamma non fosse affatto contenta che tu “riempissi la testa di cose che non può capire a una bambina così piccola”.

E tu hai fatto in modo che capissi con un regalo meraviglioso: insegnandomi a leggere a quattro anni con una pazienza, una gioia che molto aveva del bambino che ancora abitava in te.

Facevamo a gara nell’inventarci storie strampalate che tu condivi con buffe parole in dialetto che io non sempre capivo, che ti obbligavo a tradurre e che poi usavo quasi sempre a sproposito, come se fossero parolacce e che ancora adesso adopero con la tenerezza del ricordo.

Così, come tutti gli anni, aspetto il venticinque aprile, il nostro 25 aprile, ancora di lotta e forse libertà e credimi, papà, è un bel modo di ricordarti.

Fuochi accesi

 (Valdisusa  un anno dopo – Rubando a Chiara Sasso “Canto per la mia Valle”)

A richiamare accampamenti
nella notte ventosa
della mia valle
che ridendo ricorda
la tragedia scampata
E’ festa,
festa e lotta
nella notte ventosa porta scintille,
castagne e risate.

Poesia inviata da PIPPIBI

I go round down

(ancora sotto un sogno… ricordando  a modo mio Lili di Kate Bush)

La corda è tirata
ma io sono giù
tu tira la corda
“marionetta” cade giù

Lili il tuo cerchio di fuoco
mi deve aiutare
a tenere lontano
chi mi vuol mangiare

Il circo di pulci ammaestrate
ha chiuso i battenti
mi hanno messo alla porta
‘sti fetenti!

Così
espulsa dal ciclo produttivo
cercavo un lavoro
anche se solo estivo

Lili il tuo cerchio di fuoco
mi deve servire
a vivere,
non solo morire

Il mio mondo a imbuto
é risucchiato
nel buio di uno sguardo/contratto
non più rinnovato

Poesia inviata da PIPPIBI

Vendemmia di tasti

continuo a scrivere, a pigiare sulla tastiera
come si schiaccia l’uva
di questa improbabile vendemmia.

scrivo senza sapere a chi destinerò
sto vino o questo aceto
come antidoto al veleno

scricchiolano i tasti
cartapecora di ali di pipistrello
ticchettio di morse/morso di vampiro

troppi ricordi mi rimbombano la testa
troppe visioni già vissute
spingono le mie dita dentro gli spazi della tastiera
come un suicidio rituale

Poesia inviata da PIPPIBI

Antipasto casalingo

“Passato questo tempo,
ponete in vasetti di vetro,
chiudeteli bene,
metteteli ad addormentare”

                    Fecero così gli adepti,
                    che il maestro seguirono

                    Fummo invasati e chiusi
                    e messi addormentare
                    come un antipasto casalingo

Poesia inviata da PIPPIBI

Lo zoo degli dei

Si addormenta il giorno
liquide foglie cadono
cocci turchesi il cielo che rompo con la mia matita
dalla finestra della mia gabbia

ogni cosa al suo posto
il posto non occupato dai tuoi silenzi
si avviluppa alle mie gambe
con viticci d’ira

ti hanno infilato nella mia gabbia
appesa al cielo con un braccio meccanico di gru
a sfidare la mia paura
l’ossessione di dondolare

non ti voglio
non ti riconosco animale simile a me
in questo zoo creato
per far piacere agli dei

Poesia inviata da PIPPIBI