09 ottobre 2013 – Segnalazioni

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Dal Manifesto del 14 febbraio

Quel filo-abortista di Ferrara

di Alessandro Robecchi

E’ veramente strabiliante che tutti i giornali (compreso il Manifesto) si ostinino a definire il probabile partitino di Giuliano Ferrara come una “lista antiaborista”. Per completezza di informazione e correttezza semantico-politica, vorrei far notare che l’ipotetica formazione del direttore del Foglio è a tutti gli effetti una lista a favore dell’aborto e della sua incontrollata diffusione, meglio se illegale. Se, come tutti ammettono, la legge 194 ha praticamente debellato la piaga dell’aborto clandestino e ha in trent’anni di vita più che dimezzato gli aborti italiani, attaccarla con toni da crociata non è altro che una squillante e vergognosa battaglia a favore dell’aborto. Riconoscendogli una certa arguzia, molti sostengono che Ferrara sia abile a rovesciare le frittate a suo favore, ma è forse venuta l’ora di riposizionare la frittata per il verso giusto: attaccare una legge che funziona (a stento e faticosamente, si vedano le fulminanti carriere dei medici obiettori) non è altro che un attentato alla sofferenza di chi affronta scelte drammatiche e difficili. La burbanzosa leggerezza con cui si trattano temi tanto spinosi per edificare l’ennesimo partitino privato dovrebbe almeno indurre a qualche prudenza sulle parole e sui simboli. Spiace per Ferrara e per la sua arguzia, ma in Italia lo slogan “Aborto-no-grazie” è stato realizzato proprio dalla legge 194 e non dal fuoco di sbarramento Vaticano. Quanto all’altro nome in ditta, “Lista per la vita”, c’è da restare sbalorditi. Per anni, da quando è iniziata la mattanza irakena, Giuliano Ferrara ha esercitato in modo acritico e feroce la sua soave apologia della guerra. Ora che gli irakeni morti sono oltre un milione, fregiarsi della parola “vita” in un simbolo elettorale suona soltanto come un feroce sberleffo. Della vita, della morte, del dolore della gente bisogna parlare sottovoce, con rispetto e circospezione. Invece si preferisce sbraitare, entrare come un elefante in una cristalleria dove sono custodite cose delicatissime. Si dice che a Ferrara piaccia parlar chiaro. E allora che lo faccia anche questa volta e chiami la sua lista per quello che è: propaganda filo-abortista.

[da il Manifesto]

Dal Manifesto del 20 gennaio

Una preghiera anche per zio Clemente

di Alessandro Robecchi

Questa settimana, a un’ora precisa e concordata, milioni di italiani dovranno fermarsi di botto, volgersi verso Ceppaloni e recitare una breve ma intensa preghiera di solidarietà a Clemente Mastella. Se no cade il governo. Naturalmente io non avrò alcun dubbio: mi volgerò verso Ceppaloni e reciterò il mio atto di dolore, dedicato a chi ci ricorda che cos’è il potere politico in Italia: il consuocero, lo zio, la presidenza del consorzio, il ginecologo in quota Udeur, l’acqua potabile che vale tre stipendi, la gara d’appalto, la consulenza. Una volta si diceva: malcostume, e come negarlo. Ma una volta era anche redistribuzione del reddito, ammortizzatore sociale. Quando zio Remo Gaspari faceva assumere in Abruzzo più postini che in tutta l’Australia consolidava poteri e clientele, ma assumeva invece di licenziare. E la Dc, in qualche modo, ebbe a rivendicare questo suo welfare delle clientele (senza mai rivendicarne il debito pubblico, naturalmente). C’è da pensare che, almeno a Ceppaloni e dintorni, Mastella sia una specie di stato sociale, quello che intanto si dissolve ed evapora nel resto del paese. La processione dei questuanti nel salotto dei coniugi Mastella, più volte immortalata dalle tivù tra sorrisi, piatti tipici, ringraziamenti e saluti in dialetto, sarà anche colorita e strapaese, ma è più efficiente di un ufficio di collocamento o della lugubre agenzia di lavoro interinale. Libero mercato, efficienza e produttività, flessibilità profitto, tutto bello e luccicante, ne parlano bene tutti. Ma poi, avercelo un Mastella che ti piazza il figlio al consorzio agrario, che ti fa asfaltare due strade! Ascoltato come un oracolo, l’imprenditore Arturo Artom dava qualche mese fa al Corriere la sua ricetta per l’Italia: “Deve diventare come la Apple. Design più tecnologia per puntare alle grandi nicchie”. Bella immagine. Design, tecnologia, grandi nicchie. La marcia è ancora lunga, si direbbe, se funziona ancora meglio una parolina di zio Clemente.

[da il Manifesto | il blog di Alessandro Robecchi]

Dal Manifesto del 9 dicembre

Contrordine, il paese è in ripresa

Alessandro Robecchi

Per uno sgradevole errore, il rapporto del Censis sullo stato del paese è uscito largamente incompleto. Ecco alcuni aspetti che potrebbero gettare una luce meno pessimistica sulla situazione italiana. Miracolo. Clamoroso a Vibo Valentia: un paziente è uscito guarito dall’ospedale, camminando sulle sue gambe. Non si ricordano precedenti e dunque l’avvenimento rappresenta un’interessante inversione di tendenza. Né la scienza né il ministero della sanità si spiegano il fenomeno, forse attinente a forze sovrannaturali. Cultura storica. Grande recupero degli studi storici in tutto il nordest. Oltre al consigliere comunale di Treviso che dice di voler fare come i nazisti, si registrano due sindaci in provincia di Verona che propongono di studiare il modello azteco (asportazione del cuore dell’immigrato con il condannato ancora vivo). Grande interesse sta suscitando in provincia di Belluno il recupero di tradizioni legate alle radici cristiane dell’Europa, come la crocifissione per chi venisse trovato sul territorio comunale senza permesso di soggiorno.
Lotta all’omofobia. Come non detto. Lotta all’evasione. Grande impennata della lotta all’evasione fiscale. Il comune di Cittadella (Padova) decide di non concedere la cittadinanza a chi abbia un reddito inferiore a 5.061 euro all’anno. Stando alle ultime dichiarazioni dei redditi, Valentino Rossi non potrebbe abitare a Cittadella. Morti sul lavoro. Grazie agli operai della ThyssenKrupp riprende la discussione sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. 982 morti nel 2007 hanno dato buon impulso al dibattito. Con un ulteriore piccolo sforzo si potrebbe forse fare qualcosa: l’obiettivo per il 2008 è 1178 morti sul lavoro (più 20%). Come si vede, il quadro non è poi così deprimente, e si vedono all’orizzonte netti segnali di ripresa che vanno ascritti alle lungimiranti politiche sociali del governo di centro-sinistra.

 

[da il Manifesto]

Dal Manifesto del 4 novembre

Il mercato dei capri espiatori

Alessandro Robecchi

I recenti avvenimenti nazionali hanno portato una ventata di euforia sul mercato delle materie prime, specie nel comparto «capri espiatori», un po’ depresso dopo la bolla speculativa dei lavavetri. I romeni, più o meno rom, hanno registrato un impressionante balzo in avanti nelle quotazioni, sono molto ricercati e i prefetti più lungimiranti hanno fatto buone scorte. Il titolo «immigrati romeni» ha fatto un balzo anche per il battage della stampa e qualche dichiarazione politica, al punto che si è adombrato il rischio di insider trading e c’è il sospetto che qualcuno voglia acquisire una posizione dominante grazie alla speculazione sui romeni. In rialzo anche il comparto degli avvoltoi. Naturalmente gli speculatori più attenti sanno che non durerà a lungo, quindi si sta sviluppando il mercato dei futures dei capri espiatori. Questi raffinati strumenti finanziari consentono di investire su minoranze a cui romperemo i coglioni in futuro. Se il comparto «capri espiatori» tira, va detto, è anche perché è cambiata la figura dello speculatore medio, oggi più propenso che in passato ai rastrellamenti e alle deportazioni. Ciò dipende dall’insicurezza e dalla volatilità del mercato: un’esistenza precaria, un mutuo variabile, un rischio costante di impoverimento, possono spingere verso una profittevole rabbia che, incanalata, porta alle stelle le quotazioni dei capri espiatori. Ecco un esempio di come una diffusa paura sociale può essere utile nell’attuale situazione. Se sei incazzato per il mutuo, per il basso reddito, per l’affitto, per l’incertezza del futuro, per la vita dei tuoi figli e per un milione di altre cose, prendere a botte uno zingaro è un rimedio fortemente ricostituente. Il mercato si impenna, sono tutti contenti. Ma attenzione a investirci troppo, si tratta comunque di una speculazione. Una volta scoppiata anche la bolla romena, uno si troverà incazzato come prima e alla ricerca di nuovi bersagli. Per questo il mercato dei capri espiatori deve essere reattivo e veloce: chi sarà il prossimo?

Dal Manifesto del 21 ottobre

Modello Walter

Alessandro Robecchi

Facciamo un’Italia nuova. Come dice VW. Giusto, ma come? Mi permetto di avanzare qualche modello di riferimento a cui ispirarsi.
Modello Yupik – Con un paio di decreti legge ben assestati, il governo di centro sinistra introduce le regole valide per la pesca alla foca nell’Alaska centrale: ogni pescatore avrà contratti di tre mesi rinnovabili all’infinito finché è in grado di pescare. Il lavoratori non più produttivi vengono triturati e usati come mangime per i salmoni. Secondo gli economisti liberisti di sinistra, il modello è praticabile pur con qualche correzione.
Modello Vaticano – Questa piccola nazione ha risolto brillantemente i suoi problemi di welfare: i dipendenti glieli paga un altro stato e ha fortissimi sconti sulle tasse. Un modello entusiasmante secondo molti osservatori, secondo cui questo modello sociale non è “né di destra né di sinistra”, ma maledettamente astuto.
Modello Naniki – Questa piccola popolazione di agricoltori del Borneo ha risolto per sempre il passaggio dal lavoro precario al lavoro stabile. Il lavoratore precario diventa lavoratore a tempo indeterminato con una toccante cerimonia durante la quale gli vengono strappati i due alluci.
Secondo le confederazioni sindacali, il modello Naniki non è così negativo, e propongono di aprire un tavolo per trattare sulla base di un alluce e mezzo.
Modello Danese – Nel giro di cinque anni diventiamo tutti biondi e siamo tutti licenziabili in ogni momento. In cambio, paghiamo tasse altissime e abbiamo un vero welfare che ci protegge. Confindustria e sinistra riformista sono perfettamente d’accordo solo sulla prima parte.
Modello Lanao – Nelle località agricole interne alla provincia di Lanao, nelle Filippine, si sono usati per anni immigrati a basso costo e schiavi per abbassare il potere contrattuale dei lavoratori locali. E’ un buon modello, dicono gli economisti liberisti, ma non è nuovo, lo usiamo pure qui da almeno un decennio.

[da Il Manifesto]

Dal Manifesto del 7 ottobre

Buoni, non toccate il governo amico
Alessandro Robecchi

Un unico, vero, inoppugnabile argomento viene in questi giorni sbandierato da più parti: chi critica il governo si rende conto che rischia di far tornare Berlusconi? Lo ha detto pure Mastella, quindi dev’essere vero, e del resto è un classico: non lo sentiamo ripetere a ogni passo? Dunque, pensiamoci, prima di avanzare troppe critiche all’esecutivo, pensiamoci prima di fare marce e cortei di protesta. E se poi torna Berlusconi e cancella i Dico che questo governo ha realizzato con tanta prontezza? Non sarebbe una iattura per le tante coppie di fatto che grazie al governo di centro-sinistra hanno conquistato un nuovo e prezioso diritto civile? Certo, è giusto chiedere molto a un governo amico. Ma non bisogna esagerare con le pressioni. E se torna Silvio? Lo scenario è inquietante: metti che torna il Cavaliere e ripristina la legge Biagi-Maroni che questo governo ha così coraggiosamente superato a rischio di far arrabbiare Montezemolo. Non sarebbe triste che per la nostra ottusa radicalità tornassero al governo le destre, magari (parlo per assurdo) proponendo un pacchetto sul welfare gradito a Confindustria? Ammetterete che lo scenario è orribile. Con Berlusconi tornerebbe massicciamente nelle vite di giovani e meno giovani quella precarietà che questo governo ha definitivamente debellato. Per non dire di quel che succederebbe se, per una nostra miope impostazione ideologica, tornasse Berlusconi e abbassasse di nuovo la tassazione sulle rendite finanziarie che questo governo ha così coraggiosamente alzato – come da programma – penalizzando la rendita che non crea lavoro, ma soltanto speculazione e privilegio. Per cui vi prego, compagni, mostratevi un po’ più disponibili, fate qualche sforzo. Non vorrete per caso far tornare Silvio e mettere in discussione tutte le mirabili conquiste sociali che abbiamo ottenuto in questo entusiasmante anno e mezzo!

[Da Il Manifesto]

Dal Manifesto del 30 settembre

Mi dispiace non averlo letto prima.

 

L’amaro matrimonio

Alessandro Robecchi

Tutte le cose allegre e gentili che si dicono ai matrimoni sono inutili, paiono stupide, annichilite dalla realtà. Lorenzo D’Auria, il militare del Sismi ferito a morte durante il blitz che ha portato alla sua «liberazione», e la sua compagna Francesca si sono sposati giovedì all’ospedale romano del Celio. Lui in coma irreversibile; lei schiantata dal dolore, con tre figli piccoli, l’ultimo di due mesi. «Cerimonia silenziosa e straziante», hanno scritto le agenzie, e non si fatica a capirlo. Cerimonia «agevolata da Chiesa e Stato», hanno scritto le stesse agenzie, ed è in questa «agevolazione» che sta la beffa più crudele, la straripante ipocrisia. La Chiesa chiama simili situazioni «matrimonio in articulo mortis». Quanto allo Stato, non si sa, ma è un dato di fatto che conosciamo bene: senza quel «sì silenzioso», la compagna del militare italiano ucciso in Afghanistan non avrebbe diritto alla pensione del suo uomo morto ammazzato. E per di più, in caso di decisione sulle terapie mediche (crudamente: staccare o meno la spina) non potrebbe dire la sua, nonostante una vita insieme e tre figli da crescere. Sulla necessità di andare a morire per l’Afghanistan, per Bush e per l’Impero ha già detto il padre di D’Auria. Parole lucide, dolorose, ma liquidate con sufficienza finto-compassionevole dal ministro della difesa Parisi, che le ha attribuite al dolore più che al ragionamento. Sul matrimonio in extremis, invece, su questa ipocrita applicazione dei Dico ad personam, nessuno ha detto nulla, se non l’ovvio moto di compassione per due vite così malamente offese. Pure, resta amarissimo il sapore di un diritto concesso alla fine, in fretta e in silenzio, un diritto «agevolato», che avrebbe dovuto essere invece ovvio, acquisito e naturale, normale per tutti, la cui negazione offende. Negazione di un diritto a cui si è rimediato per pietà, per una forma di decenza che non riesce a cancellare l’indecenza di morire così e di «regolarizzarsi» in quel modo. Viva gli sposi. E a tutti gli altri, invece: vergogna.

 

[da Il Manifesto]